Emergono le prime testimonianze tra i soccorritori e i feriti evacuati in elicottero dall’acciaieria tra marzo e maggio
Come sempre prima di ogni volo, Oleksandr anche quel giorno fece scorrere la mano lungo la fusoliera del suo Mi-8, accarezzandone la pelle metallica. Un gesto rituale per questo veterano dell’aeronautica ucraina, nella speranza di portare fortuna a lui e al suo equipaggio. Ne avrebbero avuto bisogno. La loro destinazione — l’acciaieria nella città assediata di Mariupol — era una trappola mortale. Altri equipaggi non erano riusciti a tornare vivi. Ma la missione era necessaria, per quanto disperata: le truppe ucraine erano bloccate lì dentro, le loro scorte di acqua, cibo e medicine stavano finendo, morti e feriti aumentavano. La loro tenace resistenza nell’Azovstal era ormai il simbolo della determinazione dell’Ucraina a non piegarsi all’aggressione russa. Non potevano morire.
Per Oleksandr sarebbe stato il volo più difficile dei suoi 30 anni di carriera.
Lo accettò, ha confidato all’Ap, perché non voleva che i combattenti dell’Azovstal si sentissero dimenticati. Nell’inferno di quell’impianto, in un bunker sotterraneo trasformato in infermeria, si era diffusa la voce che sarebbe potuto succedere un miracolo. Buffalo, come…